Tassidermia
- Andrea Russo
- 12 mag 2021
- Tempo di lettura: 1 min
Aggiornamento: 4 lug 2022

Ieri ho visto morire mia madre, lì accanto,
dove poni con imperdonabile attenzione
i tuoi sorrisi, nel centro delle piaghe
che le parole lasciano quando evaporano.
Le mani degli uomini hanno dita arrotondate, sicché
possa scivolar loro via la delizia dei contorni,
quel loro insignificante sentirsi “uomini”, nell’attesa
di un ennesimo tramonto dato in pasto alle colline.
I miei sogni mi temono, credo si nascondano
nella zona d’ombra posta dietro gli orecchi, e tu
mi chiedi come fai a vedere tutto questo? nell’intento
di smuovere un cielo che sa d’appartamento. Infiniti
centimetri di noia ci dividono e, nell’insana attesa che
porta alla decomposizione di ogni aspettativa,
procrastino il tuo profilo: ricami ancora fiocchi argentei
per i miei fallimenti, sempre troppo numerosi?
I figli per cui non abbiamo avuto il coraggio, negati
e confusi con il senso del dovere: una somma
tendente al nulla, una fiamma che non genera fumo.
E così la città mi si costruisce attorno, mentre
indeciso tra la manopola dell’acqua calda,
dell’acqua fredda (tra il blu e il rosso non colgo sfumature),
posso soltanto decidere se morire in piedi, sotto le stelle,
o se rinascere in un vecchio che dedica l’ultimo sorso
a chi, venuto dall’est, sa contaminargli adagio i polmoni
con il profumo del tempo che ancora non è.
pubblicata nel numero Uno della RIvista NKK
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Ph: Roberta Scardamaglia
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