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Tassidermia

Aggiornamento: 4 lug 2022


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Ieri ho visto morire mia madre, lì accanto,

dove poni con imperdonabile attenzione

i tuoi sorrisi, nel centro delle piaghe

che le parole lasciano quando evaporano.

Le mani degli uomini hanno dita arrotondate, sicché

possa scivolar loro via la delizia dei contorni,

quel loro insignificante sentirsi “uomini”, nell’attesa

di un ennesimo tramonto dato in pasto alle colline.

I miei sogni mi temono, credo si nascondano

nella zona d’ombra posta dietro gli orecchi, e tu

mi chiedi come fai a vedere tutto questo? nell’intento

di smuovere un cielo che sa d’appartamento. Infiniti

centimetri di noia ci dividono e, nell’insana attesa che

porta alla decomposizione di ogni aspettativa,

procrastino il tuo profilo: ricami ancora fiocchi argentei

per i miei fallimenti, sempre troppo numerosi?

I figli per cui non abbiamo avuto il coraggio, negati

e confusi con il senso del dovere: una somma

tendente al nulla, una fiamma che non genera fumo.

E così la città mi si costruisce attorno, mentre

indeciso tra la manopola dell’acqua calda,

dell’acqua fredda (tra il blu e il rosso non colgo sfumature),

posso soltanto decidere se morire in piedi, sotto le stelle,

o se rinascere in un vecchio che dedica l’ultimo sorso

a chi, venuto dall’est, sa contaminargli adagio i polmoni

con il profumo del tempo che ancora non è.



pubblicata nel numero Uno della RIvista NKK


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Ph: Roberta Scardamaglia





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